mercoledì 6 febbraio 2008

che fare mentre si aspetta la felicitá (si accettano risposte)?

Ci meritiamo la felicitá?
Io penso di si, io penso che tuti siamo chiamati a cercarla, a pretenderla, a trovarla.
E' vero, poi non sappiamo quanto potrá durare, forse solo 1 giorno e neppure tanto, forse molto meno del tempo che abbiamo speso attendendola.
E allora perché continuiamo a passare notti insonni pensando in essa?
Perchè nonostante la pelle che si fa sempre piú dura con gli anni che avanzano, tuttavia speriamo segretamente, anche se al mondo intero mostriamo la nostra faccia peggiore, la piú dura, la piú strafottente, la piú insensibile, di potere nuovamente provare quella senzasione di come quando ti manca il respiro e lo stomaco ti si contorce tutto?
Perché la felicitá non é un algoritmo matematico che si possa disegnare su di un sistema di assi cartesiani? Almeno cosí potresti prevedere i momenti alti e quelli bassi, e non vivere ogni giorno con l'ansia di quello che potrá esserci (o non esserci piú) domani?
E invece no, deve essere per forza cosí maledettamente priva di logica, cosí lasciata in balia dei sensi, delle emozioni e dell'intuito. E io che sono una frana, che non azzecco mai il momento giusto, che ho il tempismo più lento di quello di un bradipo, non posso fare altro che dannarmi la mente, perdendo il sonno e la pazienza, e accontentandomi di lunghe passeggiate solitarie all'una di notte con il vento che mi rilassa la mente e alleggerisce il cuore spazzando via l'angoscia per un mancato momento di felicitá.

carnaval de cadiz

mercoledì 9 gennaio 2008

Detto alle 3 di una notte di luna crescente sevillana (oh my Muse welcome back)

Garbugli di un gioco amoroso,
che ancora adesso nemmeno io ho ben capito.
Perchè questo strazio di attesa infinita? Davvero a questo si è ridotta la nostra vita?
In quale lingua lo devo gridare che di amore è vero ci si può pure ammalare, ma questo non toglie la ragione di riprovare se una nuova occasione di tornare a sognare si presenta e bussa davanti la tua porta... diamine vivila, anche se poi si rivela solo un colpo dato da una foglia caduta da un albero, morta.
Quello che resta tra il desiderio sospeso e la paura di sbagliare non è altro che un arcobaleno che si spegne,
sei tu che ti scordi di come si faceva a volare.
E lontano butti via i ricordi di un tempo che fu neppure tu sai più quando,
chiusi dove non possono più bruciare e farti pensare all'eco remoto di un sospiro che riesce ancora a scaldare il cuore
anche se ormai senza forze, anche senza parole

mercoledì 21 novembre 2007

venerdì 16 novembre 2007

Oggi ho conosciuto Arturo

Arturo passa tutto il giorno in Calle Peral.
L’avevo già notato l’estate scorsa, quando anche io vivevo lì, nella casa all’angolo della strada.
L’avevo incontrato per caso, una notte, seduto sul marciapiede, i suoi occhi azzurri nella calda notte sivigliana mi avevano già colpito.
Volevo fermarmi un po’ con lui seduti sul marciapiede davanti al mio portone in quella calda notte sivigliana. Le mie amiche non vollero.
Lasciai solo Arturo (ancora non sapevo il suo nome) fuori, i suoi occhi li sentivo addosso.

L’ho rivisto una settimana fa, sempre in Calle Peral.
Era seduto sul davanzale di una finestra a pianterreno, osservando curioso tutto quello che succedeva per la strada: studenti che passano in bicicletta, andando contromano con le macchine che suonano il clacson per non investirli; vecchi rigattieri che spingono a forza il loro carrettino pieno di cartoni raccattati; un gruppo di operai in pausa che mangiano bocadillos ricchi di prosciutto e bevono birra, intonando chissà quale sevillana di cui nemmeno loro ricordano le parole.
E Arturo osserva tutto, con quei suoi intensi occhi azzurri, dal taglio un po’ esotico.
E osserva anche me, e sento nuovamente il suo sguardo curioso e penetrante che mi segue per la strada, anche quando gli do ormai le spalle. Al ritorno lo cerco, ma il davanzale era vuoto.

Arturo lo conoscono tutti in Calle Peral, e tutti gli vogliono bene, anche se un poco lo invidiano a vederlo sempre lì pacificamente seduto. Non si fa affliggere dal tempo che passa, ha vinto la lotta contro tutto ciò che è frenetico, che stressa. Arturo ha vinto, e lo vuole dimostrare stando seduto sul cofano di una macchina a godersi il tiepido sole Sivigliano.
“Hola Arturoooooo” – gli grida il garzone della bottega sfrecciando veloce in bicicletta a fare le consegne della spesa.
“Arturo eres siempre que descansa...Cabron!” – gli dice il vecchio falegname uscendo dal bar con una fresca cervecita in più nello stomaco.

L’ho rivisto oggi, mentre tornavo dal fare la spesa. Anche lui mi ha notato, ero passato vicinissima a dove era seduto, quasi l’ho sfiorato. Mi ha seguito silenziosamente. Andavo lenta, i pacchi della spesa pesanti in mano. Lentamente andavo io, lentamente lui dietro di me.
Si è avvicinato, ho incontrato i suoi occhi mentre mi guardavano fissi. Anche io mi sono avvicinata, senza staccare lo sguardo. Un passo, un altro, quasi lo sfioro… E lui rapidamente si allontana, si gira ed entra in una porta aperta accanto a noi. Entra nella casa con il davanzale a piano terra, quello che da sulla strada, e dopo un po’ si affaccia proprio lì. Poso i pacchi a terra, mi avvicino di nuovo, piano, piano, piano, ipnotizzata da quei tizzoni azzurri dei suoi occhi. Eccoci di fronte, adesso, finalmente, posso quasi sfiorarlo… e una voce dietro di me mi fa saltare in aria.

- Vedo che hai fatto la conoscenza di Arturo? - Mi giro, davanti a me un uomo con i baffi e l’aria simpatica

- Si - rispondo io – non ho potuto fare a meno di notare un siamese così bello. Io poi adoro i gatti. Già l’avevo visto una notte la scorsa estate di fronte la mia vecchia casa. Volevo portarlo dentro con me, ma le mie coinquiline non vollero. Poi quest’autunno sono andata a vivere da un’altra parte, però sempre qui vicino. E la scorsa settimana, passando per questa via, ho rivisto il gattone dagli occhi blu che mi aveva stregato una notte d’estate.

- Lo so, fa questo effetto a tutti – risponde lui sorridendo, prendendo in braccio il suo bel gattone siamese.

E mi spiega di come ormai tutta la strada abbia adottato Arturo, che lui lascia tranquillamente libero “tanto è uno che sa il fatto suo e che certo non si fa arrotare da una stupida macchina”. E finalmente anche io posso accarezzare il gatto, che è morbidissimo e come tutti i gatti che si rispettano inizia a fare subito le fusa.

E un poco lo invidio anche io, come tutti qui in Calle Peral. Ci facciamo trascinare vorticosamente dalla vita, usciamo la mattina presto e torniamo tardi la sera stanchi, nervosi, senza neppure accorgerci che un gatto dall’aria sorniona ci osserva mentre si crogiola al sole, ridendo sotto i baffi della nostra stupida frenesia.

venerdì 9 novembre 2007